Luigi Rispoli

Luigi Rispoli, da Andrea e Isabella Mantella; nato il 21 settembre 1925 a Napoli. Nel 1943 domiciliato a Bologna.
Militò nella 36a brg Bianconcini Garibaldi con funzione di caposquadra.
Ferito gravemente al ventre a Ca’ di Malanca il 10 ottobre 1944, primo dei tre giorni di battaglia, fu portato nell’infermeria di Cavina, All’alba del 14 ottobre, come ha ricostruito Nazario Galassi in “Partigiani nella linea Gotica: «i tedeschi, vociando, entrarono nella canonica. Fatti uscire tutti, li addossarono contro il muro. Ai tentativi dell’Angiola e di Wilhelm di persuadere l’ufficiale a desistere, questi scacciò la donna e percosse l’austriaco. Poi, caricati i feriti su di un carro-buoi, seguito a piedi dagli altri prigionieri sotto scorta militare, li fece condurre dentro un capanno situato nel cortile dell’ospedale di Brisighella. Mancava Wilhelm, crivellato di proiettili al suo tentativo di fuga presso il cimitero di S.Stefano.
Era sembrato che il comando divisionale avesse consentito quel ricovero con l’assistenza del personale partigiano, ma la notte fra il 16 e il 17 ottobre i militi della brigata nera di Faenza caricarono tutti su camion, feriti, medici, infermieri, e li portarono a Villa S. Prospero, sede del loro comando, dove vennero bastonati e torturati. Il loro tormento ebbe fine il 18 ottobre al Poligono di tiro di Bologna assieme ai catturati di Purocielo. I loro nomi: Ferruccio Terzi, medico di Bologna; Renato Moretti, studente di Medicina di Trieste; Sergio Minozzi infermiere di Bologna; Alfonso Bagni di Molinella, Desildo Bagni di Molinella; Nino Bordini di Faenza; Giovanni Borghi (Gianni di Bologna); Adelmo Brini (Delmo) di Medicina; Mario Guerra (Mao) di Filo d’Argenta; Romolo Menzolini (Bill) di Bologna; Attilio Ottonelli (Attilio) di Parma; Iliano Pasciutti (Leo) di Bologna; Luigi Rispoli (Napoli) di Napoli; Teodosio Toni (Tigre) di Solarolo. La giovane infermiera Laura Guazzaloca, internata nel campo di Fossoli, vi venne uccisa il 23 novembre».

Giorgio Proni

Giorgio Proni, da Armando e Giuseppina Lipparini; nato il 9 novembre 1923 a Bologna; ivi residente nel 1943. Motorista.
Prestò servizio militare in fanteria in Croazia (Jugoslavia) sino all’8 settembre 1943.
A Bologna fu successivamente attivo in un gruppo di partigiani guidato da Francesco Baldassari, Gim, ferroviere che aveva recuperato armi da un convoglio tedesco bombordato alla stazione di Bologna.
L’attività da gappista a Bologna è stata raccontata così da Francesco Baldassari: «furono portate a termine azioni di sabotaggio alle linee e mezzi di comunicazione e infine si era pronti a colpire i responsabili di questa umana tragedia.
Alle sei di sera dei primi di febbraio fu giustiziato il brigatista nero Baroni davanti al bar Sport, fuori porta Sant’Isaia; spavaldo, crudele, vanitoso si vantava di aver fatto parte del plotone di esecuzione di Bianconcini e dei suoi compagni e girava, con una pistola in fondina ed un’altra infilata nella cintura. Dopo l’eliminazione, il 17 febbraio, del capo fascista professor Ducati, fu la volta del notaio Amaduzzi, giudice del Tribunale Speciale fascista di Firenze, che fu bloccato in via Michelino e giustiziato.
Nel suo complesso sono circa una trentina le azioni svolte con questi compagni, ma l’ultimo nostro scontro in Bologna rimarrà nella storia dei GAP come l’episodio della morte del marinaio Ermanno Galeotti, di venti anni. Il 20 aprile 1944, con Ermanno al volante del camioncino con guida a destra e Proni, Tura, Scalabrino e Rambaldi sul cassone, si procedeva lentamente verso Castenaso per compiere un’azione. Questa lentezza, mi dava il tempo di riflettere, sul dubbio che mi era sorto poco prima quando avevo incrociato la nostra staffetta che poi non si presentò all’appuntamento. Il dubbio aumentava sempre più e allora decisi un rapido rientro; da una parallela di via San Vitale e, all’altezza della Croce del Biacco, ci trovammo di fronte ad un posto di blocco composto da otto brigatisti armati di mitra, disposti in semicerchio con al centro una lanterna. Dico ad Ermanno di rallentare oltre il blocco e poi accelerare mentre noi avremmo fatto fuoco sul blocco. Ma nella fase del rallentamento il motore del camioncino si fermò e di colpo ci trovammo sotto il tiro di otto mitra e la situazione mi parve subito disperata, anche perché avevamo solo armi corte e la distanza ci era sfavorevole.
Quattro brigatisti avanzarono verso il lato destro per esaminare i documenti di Ermanno ed un quinto venne verso di me chiedendomi i documenti. Io estrassi i documenti li consegnai ai quattro del lato destro, scesi dal lato sinistro, girai intorno al camioncino e quando mi chiamarono per nome estrassi le due pistole e sparai un colpo ciascuno su due di essi e poi spostai il tiro e sparai due colpi per ciascuna rivoltella agli altri due.
L’iniziativa aveva capovolto la sorte dell’imboscata. Contemporaneamente, altri due si erano avvicinati al camioncino e Proni e Tura li avevano colpiti dopo di che s’incepparono le pistole. Ritornando sui miei passi mi trovai i due brigatisti feriti che, appoggiati al mitra, si rialzavano e li finii, feci scendere tutti e li appostai ai bordi della strada.
Non vedevo Ermanno e mi lanciai in avanti, ma alcune bombe a mano mi scoppiarono tra le gambe e mi buttai a terra riparandomi dietro la ruota del camioncino. Il marinaio era disarmato, corse nel campo e si nascose nel cratere di una bomba d’aereo; disgraziatamente un paio di brigatisti finirono dentro la buca dov’era Ermanno e, riconosciutolo, lo assassinarono a pugnalate.
Ci mettemmo al sicuro in una base in via Tiarini presso degli oscuri compagni che tanto hanno dato alla Resistenza, e apprendemmo i dettagli dai giornali che riportavano i nostri nomi con relativa taglia. Era giocoforza lasciare la città».
Entrato nella squadra di Amato ne diventa vicecomandante. Il 10 ottobre è a Ca di Malanca tra i 40 volontari scelti dalle due compagnie incaricati di tentare lo sfondamento dell’esercito tedesco. L’azione, fatale per Giorgio Proni, è così descsritta da Nazario Galassi in “Partigiani nella linea Gotica”: «alle 11 in punto i partigiani si avviarono a scaglioni di tre, girando attorno alla quota 747 al riparo dell’osservazione nemica. In testa c’erano Maurelio Tirapani (Bòci), bracciante di Filo d’Argenta e vice di Pirì, Giorgio Proni di Bologna, vice di Amato, e Mario Guerra (Mao) di Filo, vice commissario della medesima compagnia. Percorsi 350 m., il sentiero si biforca contro l’erta di Monte Vigo, segnata da un pilastro votivo. C’era da attraversare un breve tratto allo scoperto e Bòci volle proseguire da solo per una rapida ricognizione. Inoltrandosi nell’erta boscosa, si scontrò di petto con una pattuglia tedesca e fu il più lesto con lo sten. Guadagnò la quota 760 e, trovandola deserta, ritornò sui suoi passi per dare il via libera. Ma come Giorgio e Mao lo raggiunsero al pilastro, dall’alto una spandau li colse in pieno. Giorgio, colpito al viso, cadde senza un grido».
Gli è stata assegnata la medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: “giovane patriota dotato di nobili sentimenti, partecipava fra i primi alla lotta partigiana, contribuendo validamente alla formazione dei primi reparti e partecipando valorosamente ad ardite azioni, meritandosi la nomina a vice comandante di compagnia partigiana. Durante un duro combattimento contro munitissima posizione avversaria, mentre con un gruppo di ardimentosi si batteva eroicamente su una posizione chiave, veniva colpito a morte immolando la vita per la libertà della Patria”.

La citazione di Francesco Baldassari, GIM, con azioni gappiste a Bologna cui prese parte anche Giorgio Proni è tratta da https://storiedimenticate.wordpress.com/2014/03/01/francesco-baldassarri-nome-di-battaglia-gim-sassi-guerino/#more-4516

Gianni, Austria

Nazario Galassi in “Partigiani nella linea gotica” descrive così il momento della morte del partigiano austriaco Gianni: «il 27 settembre quella di Pirì si scontrò nei pressi della chiesa di Fornazzano con una colonna sommeggiata, che fece fuoco con la spandau a distanza ravvicinata. Persero la vita il commissario Mario Soldati (Rino – di 34 anni di Bologna) e Giovanni, sergente pilota viennese, che aveva disertato per unirsi a noi. Assegnato in un primo tempo ai servizi di cucina, gli era stata consegnata l’arma nella battaglia di Castagno, dove si era ben comportato. Spiegava come i nazisti avessero rovinato la sua patria e non perdeva mai il sorriso. Fu colpito mentre combatteva in piedi allo scoperto sull’aia, incurante di chi gli gridava di mettersi al riparo».