Noi partigiani, memoriale della 36ª Brigata Garibaldi Bianconcini

Le testimonianze dei partigiani e delle staffette registrate nel memoriale della Resistenza Italiana che hanno fatto attività nella 36ª Brigata Garibaldi.

 

ADRIANO BARBIERI, nato a Imola l’1 settembre 1924, contadino, nome di battaglia “Gallo”, 3º Battaglione “Carlo”.

VIOLETTA CLEMENTINA, nata a Imola il 15 luglio 1922, nome di battaglia “Tina”, staffetta partigiana per la 36ª Brigata Garibaldi.

GERMANA MASI, nata a Palazzuolo sul Senio il 10 gennaio 1927, dattilografa e commessa. Ha curato il partigiano ferito Armando Cervellati, nome di battaglia “Pampurio” e dopo la guerra di sono sposati.

ADRIANO NARDI, nato a Riolo Terme il 4 gennaio 1926, partigiano combattente, sergente maggiore, nel 1943 residente a Imola, Terzo battaglione. Il fratello Giovanni “Caio”, medaglia d’argento al valore militare alla memoria perito l’8 maggio 1944.

GIUSEPPE PIANI, nato a Riolo Terme il 7 ottobre 1925, muratore, nome di battaglia “Bavarese”.

ANGELO RAVAIOLI, nato a Dozza Imolese, nome di Battaglia “Angiulin, staffetta partigiana

RENZO RICCI PICCILONI, nato a Barbiano di Cotignola, il 3 settembre 1926, operario, nome di battaglia “Toni”, Battaglione Libero.

FERNANDO VISANI, nato a Palazzuolo sul Senio il 14 maggio 1927

Ferruccio Terzi

  • Ferruccio Terzi
  • Ferruccio Terzi, gruppo di famiglia Nella foto si riconoscono: il padre Alfredo (secondo da sinistra) ed a seguire la madre Maria Dal Re. Ferruccio è in piedi sopra un bidone. Ai due lati due lavoranti della sartoria tenuta dal padre Foto donata dalla sorella Gabriella Terzi © Museo del Risorgimento di Bologna | Certosa.
  • Ferruccio e Gabriella Terzi Il giorno della prima comunione di Gabriella Terzi sorella di Ferruccio Foto donata dalla sorella Gabriella Terzi © Museo del Risorgimento di Bologna | Certosa.
  • Ferruccio Terzi in motocicletta con l'amico Bartoletti che guida il mezzo nel 1935. Foto donata dalla sorella Gabriella Terzi. © Museo del Risorgimento di Bologna | Certosa.
  • Ferruccio Terzi a cavallo al mare con l'amica Maria Montebugnoli in Nitto nel 1936 Foto donata dalla sorella Gabriella Terzi © Museo del Risorgimento di Bologna | Certosa.
  • Ferruccio Terzi studente della Facoltà di Medicina di Bologna alle prese con un microscopio in un laboratorio del S.Orsola Foto donata dalla sorella Gabriella Terzi © Museo del Risorgimento di Bologna | Certosa.
  • Ferruccio Terzi a Firenze con un commilitone al corso aalievi ufficiali del 1941. Ferruccio è il primo da sinistra Foto donata dalla sorella Gabriella Terzi © Museo del Risorgimento di Bologna | Certosa.
  • Ferruccio Terzi con la fidanzata Marisa al mare sulla spiaggia di Rimini nel 1942 Foto donata dalla sorella Gabriella © Museo del Risorgimento di Bologna | Certosa.

Nato a Bologna il 16 luglio 1916. Laureato in medicina.
Terzi Ferruccio, da Alfredo e Maria Dal Re, nato il 16 luglio 1916 a Bologna; lì residente. Laureato in Medicina. Durante gli anni universitari fu responsabile della sezione cinematografica del GUF – per la quale aveva girato alcuni documentari a carattere medico – e collaboratore di “Architrave”, il mensile del GUF in contrasto con il regime. Era nipote di Arconovaldo Bonacorsi, il “conte Rossi”, comandante fascista nella Guerra di Spagna e spietato squadrista.
Dopo l’8 settembre 1943 iniziò a collaborare con il movimento di partigiano, militando nella 66ª brigata Garibaldi Jacchia e, dal 7 agosto 1944, nella 36ª brigata Garibaldi «Bianconcini», operando sull’Appennino tosco-emiliano.
Durante la battaglia di Purocielo era nella compagnia di Amato a Ca’ di Malanca, dove il 10 ottobre iniziarono i combattimenti. Quando fu notte collaborò a trasferire l’infermeria a Poggio Termine di Sopra, dove la famiglia Mordini aveva messo a disposizione il piano superiore del veccio casolare. C’erano con lodo feriti gravi: Mao e Deliano moribondi, Luigi Rispoli, Giovanni Borghi, Nino Bordini (Gnaf) e Roberto Farina.
Dopo l’attacco della mattina dell’11 ottobre a Ca’ di Gostino e Piano di Sopra, la casa di Poggio Termine si trovò ad essere il punto più esposto all’attacco tedesco. Fino a sera ci fu un aspro combattimento che i partigiani riuscirono con un grande volume di fuoco a mantenere a distanza sugli opposti versanti della valle. In quel trambusto, secondo la testiomnianza di Nazario Galassi, nell’infermeria al primo piano della casa una raffica di spandau entrata dalla finestra arrivò a colpire di striscio Farina, uno dei feriti di Ca’ di Malanca. In tutto quel frastuono Ferruccio e gli altri medici, Angelo, Renato e Wilhelm insieme alle infermiere Laura, Angelina e Anna e agli infermieri Romeo e Sergio, operavano, cucivano, tamponavano, fasciavano senza fiale antitetaniche e senza alcol, utilizzando strisce di lenzuola per bende e acqua bollita con sale per disinfettante in due stanza, che i colpi di mortaio contro i muri empivano di polvere.
Nel giorno successivo, 12 ottobre, Poggio Termine fu di nuovo l’epicentro della battaglia, ma ben difesa anche grzie alle postazioni scavate la notte e mimetizzate. A sera si disposero i preparativi per la partenza verso Cavina. I feriti più gravi vennero adagiati su barelle di fortuna, utilizzando scale e altro, fatica tremenda per chi dovette trasportarli su sentieri impervi, uno strazio per loro.
Tre medici, tra cui Ferruccio, due infermieri e Laura rimasero nella chiesa parrocchiale di Cavina. Terribile fu la sorte di questo gruppo. All’alba del 14 ottobre, i tedeschi, vociando, entrarono nella canonica. Fatti uscire tutti, li addossarono contro il muro. Ai tentativi dell’Angiola e di Wilhelm di persuadere l’ufficiale a desistere, questi scacciò la donna e percosse l’austriaco. Poi, caricati i feriti su di un carro-buoi, seguito a piedi dagli altri prigionieri sotto scorta militare, li fece condurre dentro un capanno situato nel cortile dell’ospedale di Brisighella. Mancava Wilhelm, crivellato di proiettili al suo tentativo di fuga presso il cimitero di S.Stefano.
Era sembrato che il comando divisionale avesse consentito quel ricovero con l’assistenza del personale partigiano, ma la notte fra il 16 e il 17 ottobre i militi della brigata nera di Faenza caricarono tutti su camion, feriti, medici, infermieri, e li portarono a Villa S. Prospero, sede del loro comando, dove vennero bastonati e torturati. Il tormento di Ferruccio e degli altri ebbe fine il 18 ottobre al Poligono di tiro di Bologna assieme ai catturati di Purocielo.
Gli è stata conferita la medaglia d’argento al valore militare.

Roberto Gherardi, il Vecchio

  • Roberto Gherardi
  • Roberto Gherardi alla vigilia del matrimonio con Vittoria Guadagnini nel 1925
  • Roberto Gherardi in una foto scattata negli anni '30 in URSS, dove frequentava un corso politico, con la moglie Vittoria Guadagnini ed il figlio Giuliano
  • Roberto Gherardi con alcuni compagni di lotta nel 1938 in Spagna. Roberto è il terzo da destra in piedi
  • Roberto Gherardi con alcuni compagni in Spagna. Roberto è seduto a fianco del fisarmonicista
  • Ex combattenti delle brigate internazionali in Spagna in cura per le ferite riportate in Francia nel 1939. Roberto Gherardi è il primo da sinistra
  • Roberto Gherardi in Francia nel campo di concentramento di Vernet
  • Roberto Gherardi a cavallo nell'Appennino nel 1944
  • Comando 36 Brigata Garibaldi. a Ca' di Gostino Estate 1944. Accasciato a destra Roberto Gherardi.
  • Gruppo di partigiani della 36 Brigata Garibaldi. Da sinistra si riconoscono: Romani, Ricci, Linceo Graziosi, Sergio Bonarelli, Roberto Gherardi

Roberto Gherardi, nato il 4 dicembre 1899 a Castel Guelfo di Bologna.
Nel 1943 residente a Imola. Calzolaio.
Membro del PCI dal 1921, partecipò attivamente alla lotta antifascista.
Arrestato nel settembre 1926 a seguito della scoperta dell’organizzazione comunista imolese, con sentenza del 13 giugno 1927 fu rinviato al Tribunale speciale. La sentenza istruttoria investì 276 antifascisti, 19 dei quali furono rinviati al Tribunale speciale, mentre gli altri 257 furono prosciolti perché le prove a loro carico erano limitate agli anni antecedenti le leggi eccezionali. Il 23 luglio 1927 fu condannato a 4 anni e 9 mesi di reclusione.
Liberato alla fine del 1929 riprese la sua attività politica e si sottrasse a un nuovo mandato di cattura espatriando. Dalla Francia fu inviato nell’URSS per frequentare un corso politico. Qui fu raggiunto dalla moglie, Vittoria Guadagnini, anch’essa attiva antifascista.
Entrò in Spagna proveniente dall’URSS, nel maggio 1937, per la difesa della Repubblica e contro i rivoltosi capeggiati dal generale Francisco Franco. Appartenne al gruppo artiglieria internazionale con il grado di tenente : ebbe anche funzioni di interprete presso il comando. Nello stesso anno fu schedato e nei suoi confronti emesso un mandato di cattura, se fosse rimpatriato. Lasciò la Spagna nel febbraio 1939. Fu internato nei campi di concentramento di Saint-Cyprien, di Gurs e di Vernet-d’Ariége. Nei campi ebbe funzioni di dirigente del partito comunista e di istruttore di corsi di storia politica.
Tradotto in Italia il 31 gennaio 1942 venne condannato a 4 anni di confino e relegato nell’isola di Ventotene (LT).
Liberato nell’agosto 1943, fu arrestato il 16 dicembre 1943 a seguito dell’esplosione di due bombe sul davanzale delle finestre della caserma Della Volpe sede della GNR e trattenuto in carcere per alcuni giorni. Nuovamente incarcerato l’11 gennaio 1944 perché in possesso di documento di identità non vistato secondo le disposizioni emanate dal commissariato di PS. Era a Imola il periodo della feroce rappresaglia sul gruppo di D’Agostino e Bianconcini, quando il carcere, oltre alle torture, significava la caduta in ostaggio col rischio della fucilazione o della deportazione. Ottenne dopo pochi giorni la libertà con la promessa di informare sulla rete resistenziale. Ma subito ne riferì ai responsbaili dell’organizzazione comunista, che in via cautelativa lo sospese e gli consigliò di prendere la via della montagna.
Con lo pseudonimo attribuitogli di Vecchio, perchè il più anziano del gruppo, gli venne riconosciuto per abnegazione ed equlibrio, l’incarico di commissario di compagnia prima, di vice commissario della brigata oltre alla fine della sospensione del partito.
L’11 ottobre era a Ca’ di Gostino quando iniziò l’attacco dei tedeschi. Si pose ad incitare la resistenza sul retro della casa verso la vigna. Quando Bob diede l’ordine di abbandonare la casa per dirigersi verso Piano di Sopra fu colpito mortalmente nei pressi del pagliaio.
Aveva con sé una borsa con i documenti, il bollettino, il ruolino e la cassa della brigata, di cui i tedeschi si impossessarono. Un documento della polizia militare segreta tedesca con relazione sulla battaglia di Purocielo riportò in proposito: «sono di particolare valore i documenti trovati addosso a un bandito ucciso. Si tratta di informazioni sulle tabelle di indicazione tedesche, indicazioni sull’attività del giorno (il bollettino della brigata, n.d.r.), istruzioni del comando generale dell’Italia occupata per quanto riguarda lo scioglimento delle formazioni partigiane e anche una lista di persone che operano come informatori per la Wehrmacht e per i fascisti. Oltre a ciò è stato anche trovato il ruolino della 36ª brigata, da cui si può dedurre che era composto da diciannove compagnie e da una compagnia comando, alla quale è aggregata l’infermeria, e da un gruppo femminile. Da questo ruolino sono stati trovati i nomi di tedeschi appartenenti alla Wehrmacht e resi noti al direttore della polizia militare presso l’Alto Comando Sudovest. Inoltre sono stati trovati i nomi di persone che si trovano nell’attuale zona di operazioni». Non è detto della cassa della brigata contenuta in quella borsa.

Vittoria Guadagnini, moglie di Roberto Gherardi.

Vittoria Guadagnini

Nata a Imola l’1 marzo 1903 e morta a imola l’1 giugno 1997.
Si sposò con Roberto Gherardi e nell’ottobre 1929, mentre il marito era in carcere, aderì al Partito comunista, fondando con altre donne, tra cui alcune operaie della Castelli, la prima cellula comunista femminile imolese. Si occupò della diffusione e della distribuzione della stampa antifascista clandestina, trasformando la sua casa in un deposito e centro di smistamento, nonché luogo di incontro degli oppositori.
Fu tra le organizzatrici con Prima Vespignani e Giovanna Zanarini della protesta contro la fame e la disoccupazione delle donne imolesi dell’8 marzo 1930. Fu poi partecipe di numerose altre manifestazioni contro il fascismo nei primi anni Trenta.
Nel 1934 si trasferì con il figlio in Unione Sovietica per raggiungere il marito fuoriuscito. In Urss si diplomò dattilografa e lavorò alla scuola leninista internazionale e a Radio Italia. Fu delegata al primo congresso internazionale femminile.
Chiese di tornare in Italia allo scoppio della seconda guerra mondiale e per rientrare nella Penisola passò per la Francia dove riallacciò i rapporti con il Partito comunista italiano. Tornò a Imola nel 1942; in seguito fu arrestata dai fascisti che la rilasciarono dopo un mese circa, non prima di averla sottoposta al giudizio della commissione per l’assegnazione al confino che non la condannò, ma la invitò a non occuparsi più di politica.
Dopo l’8 settembre 1943 continuò la sua attività e fu tra le fondatrici e le organizzatrici dei Gruppi di difesa della donna di cui divenne dirigente provinciale a Bologna. Contribuì a organizzare le donne e a creare Gruppi di difesa in numerosi comuni della provincia di Bologna.
Diresse con altri lo sciopero delle mondine di Molinella del 1944 e partecipò ad altre manifestazioni femminili, tra cui la manifestazione di protesta delle donne imolesi del 29 aprile 1944 e lo “sciopero del sale” a Bologna del 3 marzo 1945.

Ritorna alla pagina con la foto della lapide e l’elenco dei Caduti nella Battaglia di Purocielo