Ateo Bendini

Walter Bendini, Ateo

Nato a Imola il 30 novembre 1909 nel 1943 era residente a Ceregnano, in provincia di Rovigo. Meccanico.
Nella battaglia di Purocielo la mattina dell’11 ottobre si trovò a Ca’ di Marcone. Durante l’attacco dei tedeschi si pose insieme a Dino e a Renato in un punto dove l’aia era sopraelevata rispetto al giro della mulattiera, in una zona protetta dagli alberi.
Al primo attacco dei tedeschi, che arrivarono d’impeto quattro-cinque per volta, la squadra di Tito li battè di fianco (Balòta commentava ad alta voce ogni suo tiro); Raf e Angelo Giorgi dalle finestre al piano superiore della casa li bersagliarono frontalmente costringendoli a girare di lato e ad andare a sbattere contro i tre posizionati nel punto sopraelevato dell’aia che in piedi li colpirono a raffiche di sten.
Vennero così respinti tre attcchi dei tedeschi, ma poi fu inevitabile l’ordine di abbandonare Piano di Sopra e Ca’ di Marcone.
Ateo fu tra quelli che si diressero verso il crinale di Monte Colombo. A proteggere quel punto si trovava Carlo Galassi che su questo ha scritto la seguente testimonianza: «sotto di noi passavano isolati o a piccoli gruppi i superstiti della compagnia comando, della compagnia di Tito e di un gruppo della nostra compagnia, che avevano subito gli attacchi di massicce forze tedesche. Alcuni non rispondevano neppure al nostro saluto, altri ci mostravano tre o quattro armi che portavano sulle spalle; il significato era chiaro: ogni arma in soprannumero corrispondeva a un compagno caduto. Passò anche un mio caro amico, che era sempre stato pronto a partecipare con entusiasmo a tutte le imprese, anche le più rischiose; gli chiesi di fermarsi con noi, ma rifiutò in modo deciso. Il suo rifiuto e soprattutto il suo aspetto, stanco e scoraggiato, mi fecero capire quello che era accaduto poco prima e quale dramma avevano vissuto quei partigiani. Per ultimo arrivò Ateo, il mio caposquadra; era solo e portava tre « Sten » inglesi: si fermò con noi, non disse una parola, noi non gli chiedemmo niente. Soltanto dopo alcuni giorni si potè sapere a chi erano appartenute quelle armi e quale servizio avessero reso, perché lui, Ateo, non potè più dircelo».
Era infatti successo che Ateo venne ferito alla testa da un colpo non profondo ma mortale e con il sangue che gli usciva copioso urlò «non possò muovermi, lasciatemi un caricatore, vi proteggerò» e consegnò uno sten a Carletto e l’altro a Nuvolari. I primi tra quelli riuniti nel crinale, gettatisi letteralmente nel versante verso la valle del Lamone, ne udirono i colpi. Ma non fu Ateo a terminare la raffica. Mentre si accasciava, la continuò Nuvolari, mentre Carletto raccoglieva l’arma di Ateo ancora calda.

Dino Boschi

Dino Boschi

Dino Boschi, nato a Ozzano dell’Emilia il 12 aprile 1921. Idraulico fontaniere.
Giancarlo Bassi, nato a Bologna l’11 settembre 1926. Licenza elementare, tipografo, residente a Bologna.
Entrambi si trovarono con la 36ª Brigata Garibaldi a combattere nella battaglia di Purocielo dal 10 al 12 ottobre 1944.
Il 13 ottobre, dopo una riunione mattutina con i comandanti e i commissari delle compagnie, venne convocata per le cinque della sera l’adunata generale sopra un poggio vicino a monte Giornetto.
Di quella riunione Nazario Galassi ha fatto il seguente resoconto:
«Esordì Bob, seguito da Corrado e da Bruno. Alla brigata si prospettavano altre prove difficili, per le quali era indispensabile la massima saldezza. Le passate esperienze dimostravano che, nei momenti critici, lo sbandamento poteva essere fatale. Perciò chi non si sentiva in grado di affrontare ulteriori disagi e pericoli, era libero di andarsene, previa consegna delle armi. Nessuno l’avrebbe rimproverato, ma restare significava accettare tutte le conseguenze. […] Poi ogni compagnia si ritirò nel proprio accantonamento per consentire libertà di decisione, Su oltre 600 partigiani deposero le armi in 15 che, aggiungendosi agli sbandati, sommarono a una trentina. Di costoro alcuni caddero nelle mani dei tedeschi o dei fascisti».
E’ questo il caso di Giancarlo Bassi e Dino Boschi che il 18 ottobre 1944 si trovavano a Imola. Una pattuglia tedesca li fermò in via Fossetta Selice e li consegnò ai fascisti di stanza al mulino del Maglio. Questi ultimi interrogarono i due uomini e poi li consegnarono ai tedeschi dislocati nel podere Lesia di via Lasie, il cui comandante, visto il verbale redatto dai fascisti, ordinò la fucilazione di Boschi e Bassi. Ai due uomini furono consegnate delle pale e furono costretti (anche mediante percosse) a scavare una buca in un campo del podere. Mentre scavavano alcuni tedeschi spararono loro uccidendoli e facendoli cadere nella fossa. I corpi furono ricoperti da poca terra.

Giancarlo Bassi

Giancarlo Bassi

Giancarlo Bassi, nato a Bologna l’11 settembre 1926. Licenza elementare, tipografo, residente a Bologna.
Dino Boschi, nato a Ozzano dell’Emilia il 12 aprile 1921. Idraulico fontaniere.
Entrambi si trovarono con la 36ª Brigata Garibaldi a combattere nella battaglia di Purocielo dal 10 al 12 ottobre 1944.
Il 13 ottobre, dopo una riunione mattutina con i comandanti e i commissari delle compagnie, venne convocata per le cinque della sera l’adunata generale sopra un poggio vicino a monte Giornetto.
Di quella riunione Nazario Galassi ha fatto il seguente resoconto:
«Esordì Bob, seguito da Corrado e da Bruno. Alla brigata si prospettavano altre prove difficili, per le quali era indispensabile la massima saldezza. Le passate esperienze dimostravano che, nei momenti critici, lo sbandamento poteva essere fatale. Perciò chi non si sentiva in grado di affrontare ulteriori disagi e pericoli, era libero di andarsene, previa consegna delle armi. Nessuno l’avrebbe rimproverato, ma restare significava accettare tutte le conseguenze. […] Poi ogni compagnia si ritirò nel proprio accantonamento per consentire libertà di decisione, Su oltre 600 partigiani deposero le armi in 15 che, aggiungendosi agli sbandati, sommarono a una trentina. Di costoro alcuni caddero nelle mani dei tedeschi o dei fascisti».
E’ questo il caso di Giancarlo Bassi e Dino Boschi che il 18 ottobre 1944 si trovavano a Imola. Una pattuglia tedesca li fermò in via Fossetta Selice e li consegnò ai fascisti di stanza al mulino del Maglio. Questi ultimi interrogarono i due uomini e poi li consegnarono ai tedeschi dislocati nel podere Lesia di via Lasie, il cui comandante, visto il verbale redatto dai fascisti, ordinò la fucilazione di Boschi e Bassi. Ai due uomini furono consegnate delle pale e furono costretti (anche mediante percosse) a scavare una buca in un campo del podere. Mentre scavavano alcuni tedeschi spararono loro uccidendoli e facendoli cadere nella fossa. I corpi furono ricoperti da poca terra.