Ancilla Cavina, staffetta partigiana ora per sempre a Ca’ di Malanca

Castelbolognese nata il 7 luglio 1924. Staffetta
Deceduta nel 2011, ha chiesto di poter restare per sempre nel Rio di Cò, sotto Ca’ di Malanca.
La ricordiamo con tre scritti pubblicati da Domenico Sportelli nel suo sito
(https://domenicosportelli.eu/).

Una staffetta partigiana

Bella ciao
21 novembre 2011

Ieri a Cà di Malanca abbiamo incontrato una staffetta partigiana. Era in braccio ad una giovane donna, a fianco di altre persone. Cercava la pace eterna fra le montagne che tanto ha amato. Quelle montagne teatro e complici della riconquistata libertà.
E’ stata una bellissima giornata di sole. Zaino in spalla, siamo partiti dalla chiesetta di Purocielo. Una bella compagnia di donne e uomini, contenti di stare insieme, verso Monte Colombo e Cà di Malanca, lassù dove i partigiani e i contadini ci hanno ridato la speranza. Prima Cà di Gostino, poi Cà di Marcone. Noi, a scrutare da quale pertugio si sarà sparato, a immaginare quale antica quercia potrà ancora conservare il ricordo del combattente morto. A pensare alle atrocità della guerra. Alla casa simbolo abbiamo visitato il Museo, ci siamo ancora commossi alla vista delle foto e degli scritti. Abbiamo acceso il fuoco e parlato.
Da oggi Ancilla riposa lassù. “Una mattina mi sono alzato, o bella ciao, bella ciao…”. Sua nipote la cullava. L’abbiamo accompagnata cantando, nei suoi posti, quelli che per lei hanno avuto il significato più grande. Tanto da non volersene staccare mai più. Ora riposa cullata dal vento.“E le genti che passeranno, o bella ciao, bella ciao… gli diranno che bel fior”.

La staffetta sul cavallo bianco
28 gennaio 2012

E’ molto bella la figura di una giovane donna, allegra e determinata, cavalcare un cavallo bianco su e giù per gli appennini, recando con sè messaggi,viveri ed armi da consegnare ai partigiani. Questa immagine è fra i pochi ricordi lasciati da Ancilla Cavina (Riolo Terme), staffetta partigiana, alla propria figlia relativamente a quel triste periodo della storia d’Italia. Una sorta di pudore e di rispetto per il dolore e la morte di tanti, spesso, gli ha impedito di parlarne.
I ricordi che Ancilla ha lasciato sono sopratutto quelli della paura.
Come quando, prelevata da casa ventenne, assieme alla cugina, fu avviata per il campo di concentramento in Germania. Si salvarono a Bologna, grazie alla compiacenza del medico che le visitò in stato semicomatoso per avere fumato in rapida successione due pacchetti di sigarette, come amici avevano loro consigliato. Da quel momento, entrambe entrarono nella Resistenza. Oppure come quando incontrò un inaspettato posto di blocco nazi-fascista, mentre recava sul suo cavallo bianco due ceste di armi per i partigiani, coperte da grappoli d’uva matura. Disse che era uva per il “padrone” del podere. Fu creduta.
Il prossimo 25 marzo la ricorderemo, ponendo una targa nel Rio di Cò, sotto Cà di Malanca. Là dove ha voluto riposare per sempre.
Grazie, ora riposa in pace

Grazie, ora riposa in pace
26 marzo 2012
Ieri siamo tornati a trovare Ancilla Cavina, “Franca”, la staffetta partigiana che abbiamo incontrato il 21 novembre scorso nel suo ultimo viaggio nel luogo dove ha voluto restare per sempre: nel Rio di Cò, sotto Cà di Malanca. Lungo quel sentiero che tante volte ha percorso sul suo cavallo bianco, nei lunghi mesi della terribile battaglia partigiana per liberare l’Italia dal nazifascismo.
Cinquanta persone hanno raccolto l’invito. La figlia e la nipote, al seguito altri familiari, conoscenti, gente comune. La maggior parte è giunta su a piedi, partendo da Santa Maria in Puriocielo. Altri in auto, i più giovani in bici. Beppe, ci ha fatto da guida, illustrandoci i luoghi e gli avvenimenti della cruenta battaglia avvenuta il 10, 11 e 12 ottobre del 1944, lungo il sentiero che stavamo pecorrendo e le case che stavamo rimirando. Con gli occhi abbiamo cercato di individuare il punto dove questo e quel combattente erano caduti: Attila, Ivo, Livio … .
Ogni volta che percorro quei luoghi, mi coglie una emozione diversa. Questa volta mi ero documentato sulla battaglia, leggendo una, due, tre volte il racconto di Montevecchi. Un racconto molto ben documentato, che ci dice innanzitutto dell’eroismo di quei combattenti in cerca di riscatto da una vita di stenti, di privazioni e senza libertà, ma che ci parla anche del contesto di estrema difficoltà in cui quella lotta avvenne.
Ci dice dei tanti contadini che aiutavano, ma anche dei pochi che con ogni probabilità cedeva e forniva informazioni; ci parla di talune ambiguità degli alleati derivate dal fatto che forse non volevano si potesse dire che parte del territorio era stato liberato dai “comunisti”; ci dice di probabili errori di strategia nella catena di comando dei partigiani. Ci lascia anche la traccia del dubbio che nella fase finale della battaglia dei “tre giorni”, le soverchianti fozrze nazifasciste, abbiano lasciato un piccolo varco aperto nell’accerchiamento oramai concluso.
Tutte cose che però non lasciano il minimo dubbio circa il dovere che ogni antifascista, ogni persona libera, ha di mantenere viva la memoria attorno a quel glorioso periodo della nostra storia recente.