Ricordo di Ivo e Gina

TESTO DELL ‘INTERVENTO DI ANNA TESTA A CA’ DI MALANCA IL 29 AGOSTO 2021

Anna Testa
Anna Testa

Abbiamo pensato di dare un taglio particolare al nostro intervento, ricordando Ivo Mazzanti, ma anche la sua famiglia e, in particolare, Gina Francini, la sua compagna, la giovane ragazza che condivide con lui i valori e gli ideali e per questi combatte, e che gli resta accanto fino all’ultimo istante.
Certo, alle spalle di Ivo c’è una grande famiglia. Pensiamo infatti che non si nasca eroi, ma lo si diventi per l’incombere della Storia e, soprattutto, perché all’interno della propria casa si respira l’amore per la giustizia, per la libertà e per la solidarietà e i Mazzanti, quelli dello storico panificio, sono persone per bene, di fede socialista, convinti antifascisti, generosi e soccorrevoli con chi soffre la fame, pronti a lottare e a sacrificarsi per dare al nostro Paese un futuro migliore, sciolto dalle catene del feroce giogo nazifascista.
Ivo nasce a Riolo Terme il 22 gennaio 1920. I genitori, Rosa Tacconi (detta Rosina) e in particolare, Angelino, gli impartiscono un’educazione di stampo socialista. Per le sue idee il padre subisce i soprusi e la ferocia dei fascisti di Riolo che, settimanalmente, lo prelevano, lo torturano e lo costringono all’umiliazione dell’olio di ricino. Angelino sopporta con fierezza e dignità e il suo esempio fa crescere in Ivo una profonda avversione per il regime. Fin dalle scuole elementari viene deriso e ingiuriato dai compagni e punito dall’insegnante, che un giorno lo porta alla segreteria del fascio, dove viene minacciato di ritorsioni sui suoi familiari per avere disegnato la falce e il martello, invece dello stemma fascista. Chiamato alla leva, è inviato in Jugoslavia e qui, sempre più insofferente alle atrocità compiute dal regime, entra in contatto con la resistenza locale e prende a svolgere propaganda antifascista tra i suoi commilitoni. Dopo l’8 settembre del ’43, Ivo ha già scelto da quale parte stare, quindi con i suoi compagni sottrae dalla caserma armi per il movimento partigiano. Scoperto, viene arrestato, processato, condannato a 9 anni di carcere e tradotto alle Murate di Firenze. Per uscirne, finge di abiurare alla sua fede antifascista e aderisce alla RSI (Repubblica Sociale Italiana). Scarcerato e finalmente libero, ottiene una licenza per far visita alla sua famiglia e si dà alla latitanza ed entra nell’8° Brigata Garibaldi. Dopo essere sfuggito ad un rastrellamento, torna nella Valle del Senio e organizza i GAP. Nel luglio del ‘44 diventa comandante del battaglione Ravenna, in sostituzione di Bruno Neri, ucciso a Gamogna il 10 luglio. Entrato nella 36°Brigata Garibaldi “A. Bianconcini”, assume il comando del 2° battaglione. In seguito ad una delazione, per ritorsione e per indurlo a consegnarsi, i fascisti e i tedeschi scaricano tutta la loro rabbia e la loro ferocia sulla sua famiglia. Mentre il padre e i fratelli Mario e Medardo riescono a fuggire e si danno alla latitanza, le sorelle Marisa e Giovanna sono arrestate e in seguito deportate in Germania. Giovanna,​ ammalatasi, morirà poco dopo il suo rientro in Italia. Durante una perquisizione per trovare armi, la madre Rosa viene prelevata con la figlia quattordicenne Giuseppina, successivamente deportata, con la nuora Natalina Zanotti e con un ospite bolognese.
Sono inoltre arrestati il padre e i fratelli di Natalina, Pietro, Giuseppe e Romeo Zanotti e condotti tutti alla sede del SD (Servizi di Sicurezza delle SS) in viale Salinatore 24, a Forlì, l’ex brefotrofio, dove si trovano gli uffici del RSHA, l’organo preposto al terrore e allo sterminio, composto di tre organismi: l’SD, la SIPO (polizia criminale) e le SS. E’ qui che hanno luogo gli interrogatori e dove i prigionieri sono sottoposti a supplizi indicibili. Dopo avere subito violenze e torture disumane, la madre di Ivo, che non rivela alcuna notizia in merito al figlio e alla sua latitanza e affronta con coraggio il suo destino, è condannata a morte e fucilata e successivamente appesa ad un albero con altri martiri, tra i quali un bimbo di sei anni, come monito per chi non collabora. Natalina, Giuseppe e Romeo Zanotti sono deportati in Germania. Anche Natalina non sopravviverà a questa terribile esperienza: tornerà malata e morirà poco dopo il suo rientro in Italia, al termine della guerra. Il 18 settembre 1944 Ivo è incaricato di spostarsi sulle colline faentine per partecipare alla liberazione di Faenza. Prende parte ai più importanti combattimenti della 36° Brigata e l’11 ottobre, durante la Battaglia di Purocielo, viene ferito. Sebbene i suoi compagni lo spingano a fuggire e a mettersi in salvo, decide di fermarsi e di coprire col mitra la loro ritirata. A Ca’ Gostino, accanto a lui c’è sempre Gina, decisa a non abbandonarlo nella strenua difesa. Terminate le munizioni, per non cadere in mano nemica e non rischiare di rivelare nomi e piani dei suoi compagni, Ivo si spara un colpo di rivoltella. Ha solamente ventiquattro anni e muore senza vedere la Liberazione del suo Paese, per cui tanto ha lottato.
Riconosciuto partigiano dal 25 gennaio all’11 ottobre 1944, alla memoria gli sarà conferita la medaglia d’argento.
Ora ci preme ricordare Gina, l’amore di Ivo, una giovane donna diventata per caso partigiana. La sua è una famiglia benestante di Borgo San Lorenzo. Trascorre una giovinezza tranquilla fino a quando, un giorno, il suo medico di famiglia le dice che i fascisti hanno arrestato dei ragazzi e le chiede aiuto per evitare che vengano uccisi.
Per Gina non c’è alternativa, perciò accetta di andare a lavorare presso la casa del fascio e fa entrare i partigiani che liberano i giovani prigionieri. Ha dimostrato grande coraggio, ma per lei ora si prospetta la latitanza, perché è braccata dai fascisti, per questo deve andare in montagna ed è qui che incontra Ivo, il suo grande amore.
Condivide con lui i giorni, la paura, i combattimenti e le fughe. E’ con lui nel momento della sua morte, quando sviene. E’ soccorsa da un sacerdote che la nasconde e le salva la vita. Al termine della guerra affronta la dura realtà: la sua famiglia d’origine non la vuole perché è stata partigiana. E’ quello che resta della​ famiglia Mazzanti che la accoglie come una figlia. Noi vogliamo onorare la figura di Gina, il suo coraggio, la sua forza e con lei tutte le partigiane d’Italia, un po’dimenticate e non sempre supportate, come avrebbero meritato, dalle Istituzioni e dai partiti antifascisti. Un grazie particolare a Patrizia e a Rosangela, per avermi aperto il loro cuore!

ANNA TESTA
Presidentessa della sezione ANPI di Riolo Terme

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